Diete a confronto!

immagine da ideagreen.it

Una dieta è un programma alimentare che s’intraprende per ottenere un obiettivo di peso corporeo desiderato ma anche per aiutare a gestire meglio alcune malattie come cardiopatie, diabete, nefropatie ecc. La dieta è anche un sussidio importante per gli sportivi che vogliano potenziare la propria massa muscolare o per controllare l’alimentazione in chi soffre d’intolleranze  o allergie alimentari. Tre componenti principali partecipano alla definizione del peso corporeo: il tessuto scheletrico, la massa muscolare e il tessuto adiposo. Per ottenere un calo ponderale, poiché sul tessuto scheletrico non si può agire e su quello muscolare si può lavorare soltanto attraverso un frequente e continuo esercizio sportivo, il primo intervento che si può attuare deve mirare alla diminuzione del tessuto adiposo. L’aumento di peso è sempre il risultato di un bilancio energetico. Se la quantità di energia introdotta quotidianamente con gli alimenti è superiore al proprio dispendio energetico totale (DET) giornaliero, è matematicamente impossibile non aumentare di peso poiché la quota di energie introdotta è in eccesso, sarà inesorabilmente convertita in tessuto adiposo. Per questo motivo il  bilancio energetico di una dieta deve essere personalizzato per ogni singolo paziente. Non esistono schemi dietetici generalizzabili e non esistono persone che ingrassano senza assumere un eccesso di calorie rispetto alle proprie necessità. Vediamo allora le caratteristiche principali dei più conosciuti e seguiti regimi dietetici nella nostra cultura alimentare! Mangiare un po’ di tutto e fare cinque pasti Per garantire la copertura di tutti i fabbisogni nutrizionali si deve mangiare un po’ di tutto avendo cura che: – il 55-60% dell’apporto di energia totale sia fornito dai carboidrati – il 25-30% dai grassi – il 10-15% dalle proteine Suddividere l’introito calorico in almeno  5 pasti nell’arco della giornata aiuta a mantenere stabile il profilo glicemico nelle 24 ore e serve a mantenere in equilibrio il dispendio energetico dell’organismo. I picchi d’insulina che si producono quando si lasciano ampi spazi temporali tra un pasto e l’altro (6-7 ore) stimolano la  fame e inducono il soggetto a rimpinzarsi maggiormente e in modo critico alla sera finendo per trasformare nel pasto principale quello serale, ma poiché dopo la cene inizia il periodo di riposo (anche solo accomodandosi sul divano a guardare la tv) l’introito calorico produrrà la conversione dell’eccesso glicemico in grasso di deposito.  Utilizzare la cena come pasto principale è un’abitudine sbagliata e ciò ha portato i nutrizionisti di tutto il mondo a promuovere la prima colazione, che deve fornire almeno il 20% delle calorie giornaliere. Per evitare poi di arrivare a cena con troppa fame si dovrà fare uno spuntino a metà mattina e una merenda pomeridiana. Questi due pasti devono fornire globalmente almeno il 10-15% dell’introito energetico quotidiano. Il 35-40% dovrà arrivare dal pranzo e non più del 25-30% dalla cena. La dieta mediterranea Non esiste un alimento che contenga tutti i nutrienti, né in natura né come prodotto trasformato. Il segreto della dieta mediterranea è il naturale bilanciamento dei macronutrienti fornito dai suoi cibi principali: cereali, legumi, ortaggi, frutta  e pesce. Minore spazio è dato alla carne, al latte e alle uova, che pur non devono mancare. L’olio extravergine di oliva è l’unico condimento previsto ed è concesso un moderato consumo di vino rosso, ricco di utili polifenoli come il resveratrolo. L’apporto di fibre è superiore ad ogni altro sistema e a parità di porzioni, fornisce un minor apporto calorico. Le fibre sono probabilmente l’elemento nutrizionale più potente e sicuro per modulare l’apporto glicemico del pasto, ridurre l’assorbimento dei grassi e del colesterolo e prevenire i tumori dell’apparato digerente. Una curiosità: Nel Novembre 2007 l’UNESCU ha incluso la dieta mediterranea nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’umanità. Diete iperproteiche La principale funzione delle proteine è fornire aminoacidi ai tessuti e favorire i processi di rinnovamento cellulare. Le proteine hanno anche funzione energetica, ma in una alimentazione bilanciata questa funzione è marginale. Questo compito è utilizzato durante il digiuno prolungato o l’attività fisica impegnativa e di lunga durata, quando gli aminoacidi a catena ramificata (isoleucina, valina e leucina) vengono degradati a scopi energetici. Il principio fondamentale delle diete iperproteiche è la riduzione drastica del consumo di zuccheri semplici (dolci, bevande  zuccherate, pasta e pane). Si evitano tutti gli alimenti ad alto indice glicemico, ovvero quei cibi che hanno la capacità di fornire velocemente glucosio dopo la loro assunzione.  Nelle diete iperproteiche vengono aumentate le proteine fino a 1,8-2 g per Kg, una soglia limite, oltre la quale l’organismo non è in grado di utilizzare l’eccesso di aminoacidi e per eliminare l’azoto prodotto, sottopone i reni ad un impegno dannoso. Per questo motivo si prescrive ai pazienti un apporto di acqua, durante le 24 ore, eccezionale, non meno di 4-5 litri. I vantaggi di queste diete sono: – il mantenimento costante dei livelli d’insulina – l’aumento del metabolismo basale – la stimolazione della lipolisi – l’aumento della massa muscolare Gli svantaggi sono ascrivibili ai relativi problemi renali (insufficienza renale e nefropatia diabetica) e al rischio, non infrequente, di indurre cheto acidosi. La dieta a zona Questo metodo si basa schematicamente su: – alimentazione bilanciata – moderato esercizio fisico – gestione del stress psico-fisico – integrazione di Omega 3 Il suo fondatore, il biochimico Barry Sears, teorizza l’assunzione dei cibi secondo la regola 40-30-30 ovvero 40% carboidrati, 30% proteine e 30% grassi. Questa distribuzione di macronutrienti garantirebbe la produzione d’insulina in una particolare zona definita dal suo autore: equilibrio. Ogni zona ha un contenuto calorico standard (100Kcal) e va consumata in tempi prestabiliti, come intero pasto o sua frazione. In questo modo si raggiunge uno stato psicofisico ottimale, trasformando il concetto stesso di dieta in un vero e proprio concetto filosofico.  Nessun dato scientifico è stato fornito dalla dieta a zona, che dimostri quali effetti può avere sui fattori di rischio cardiovascolare, se protratta nel tempo. Chi la utilizza racconta di sentirsi benissimo in termini di energia, capacità mentale e rendimento fisico, miglioramento della qualità del sonno e della digestione. La dieta metabolica Molto popolare nell’ambiente dei body building, si basa sul principio della temporanea deplezione dei carboidrati, da attuare in un certo periodo di tempo e che porterebbe all’esaurimento del glicogeno epatico e muscolare. In un secondo tempo si caricherebbe l’alimentazione di carboidrati per rifornire l’organismo di glicogeno fresco, da utilizzare durante una competizione. Ma lo schema è solnto teorico e mancante di forti evidenze scientifiche. La perdita d’acqua dovuta all’esaurimento del glicogeno sottopone l’organismo ad un super lavoro renale e la limitazione drastica di frutta e verdura costringe ad un integrazione vitaminica e minerale, mentre le carenza di fibre può sfociare in seri problemi di stitichezza, diverticolite e aumentato rischio di cancro all’intestino. La dieta vegetariana Il vegetarianismo è costituito da diete che propongono schemi alimentari molto diversi: La lacto-ovo vegetariana vieta il consumo di carne e pesce ma consente l’uso di alimenti derivanti dal latte, le uova, i formaggi e il miele La lacto-vegetariana esclude anche e uova La vegana vieta anche i derivati e della quale esiste una branca eco-vegana che impone l’utilizzo di soli alimenti provenienti da coltivazioni biologiche e/o biodinamiche La crudista basata sul solo consumo di frutta e verdure crude La fruttista permette solo il consumo di frutta, semi oleosi e semi germogliati. A seguito della sua rigida carenza di acidi grassi saturi, il vegetarianismo garantisce l’abbassamento di colesterolo e del rischio cardiovascolare ad esso connesso ed è efficace contro obesità e diabete. Tra i vegetariani è anche diminuito il rischio di neoplasia colon-rettale. Sull’altro piatto della bilancia lo scarso assorbimento del ferro dei vegetali unito ad una carenza di VitB12 , vitamine presente solo negli alimenti di origine animale, può produrre anemie che necessitano d’integrazione. Troppa fibra provoca eccesso di acido fitico, che ostacola l’assorbimento di calcio, ferro e zinco, e la riduzione dell’assorbimento di calcio indotta dagli ossalati presenti nei vegetali facilita la  formazione di calcoli renali. Il vegetarianismo non deve mai essere basato sul fai da te ma obbliga il soggetto ad informarsi bene sulle sue regole fondamentali. Concludendo, l’efficacia di uno schema dietetico non è definibile solo dal calo ponderale prodotto ma lo è quando è dimostrato scientificamente che quel determinato schema si associa ad un allungamento della vita media della popolazione che lo attua. Non deve provocare effetti avversi, in modo da poter essere attuata per tutta la vita. Come sempre, invito al buon senso! 🙂